Nell’ultimo trimestre la Commissione Territoriale Asilo di Brescia si è aggiudicata un primato assoluto in Italia: ha respinto ben il 97% delle domande di asilo presentate dai profughi arrivati nelle province di Brescia, Cremona, Bergamo e Mantova, territori di competenza della Commissione bresciana*.
Il dato è impressionante, ancor più perché conferma e rafforza quel che già sappiamo da tempo: la Commissione Asilo di Brescia interpreta in maniera iper restrittiva le norme sul riconoscimento del diritto d’asilo dando un numero elevatissimo di dinieghi, ben oltre la media nazionale. Inoltre, già nei mesi scorsi i dati resi pubblici attestavano che anche la percentuale complessiva di dinieghi alle domande di regolarizzazione, anche per protezione sussidiaria o per motivi umanitari, a Brescia è particolarmente alta, superiore al 70%.
Viene così in evidenza un elemento strutturale, comunque ricorrente, del governo delle migrazioni nel bresciano. Un dato già rilevato con la sanatoria del 2012, che a Brescia registrò una percentuale di rigetti delle domande di regolarizzazione eccezionalmente alta (attorno al 70%), più che doppia rispetto al quadro nazionale.
Salvo voler immaginare che si diano appuntamento tutti o in gran parte a Brescia i migranti e i profughi che pur avendo richiesto il titolo di soggiorno non hanno i requisiti per ottenerlo, il ripetersi della stessa anomalia ha una spiegazione fin troppo chiara: a Brescia ancor più che nel resto d’Italia c’è un problema, che si chiama razzismo istituzionale.
A Brescia l’esclusione e la discriminazione vengono praticate come norma, vengono persino ostentate ed esibite dalle istituzioni attraverso un’applicazione della legge particolarmente rigida in senso punitivo contro i migranti. Istituzioni che nel caso della sanatoria 2012 sono la Prefettura ed anzitutto lo Sportello Unico Immigrazione di via Lupi di Toscana. E per le richieste di asilo sono gli Enti locali, la Questura e di nuovo la Prefettura che con i loro incaricati compongono la Commissione Asilo.
L’esito è la precarizzazione della vita delle e dei migranti che vivono e lavorano in questi territori e che qui più che altrove sono a rischio di essere condannati – e a migliaia vengono effettivamente condannati – alla clandestinità, ad una condizione di totale invisibilità sociale e di ricatto lavorativo estremo.
Peraltro, l’ordinaria “anomalia bresciana” è purtroppo solo relativa: esprime su dimensioni accentuate un tendenza generale e diffusa, attestata proprio dalle percentuali, comunque molto elevate anche a livello nazionale, dei rigetti delle domande di regolarizzazione presentate dai profughi. Lo sbarramento ai e alle migranti dell’unica via – la presentazione della domanda di asilo – rimasta percorribile per tentare di ottenere il titolo di soggiorno in Italia e in Europa (a fronte della chiusura di ogni altra strada in atto da tempo con leggi xenofobe come la Bossi-Fini) è tutt’altro che un fatto locale.
L’Italia e l’Europa hanno messo in produzione su ampia scala la clandestinità. I governi e le istituzioni, invece di cambiare le leggi che illegalizzano le persone e di riconoscere nella libertà di movimento un diritto universale, annunciano e mettono in atto nuovi provvedimenti che alimentano insicurezza e discriminazione: rigetti delle domande di asilo più rapidi e sommari, reclusione nei CIE, deportazione in campi di concentramento fuori dei confini UE, blocco militare dei flussi migratori dalla costa sud del Mediterraneo.
L’alto numero complessivo di dinieghi alle domande di regolarizzazione diventa anche condizione per poter imporre ai profughi lavoro gratuito o sottopagato in cambio di una qualche possibilità di ottenere (forse, infine) il permesso di soggiorno.
I muri per discriminare e precarizzare i/le migranti non vengono rafforzati solo lungo le frontiere degli Stati governati da Trump, da Orban o da altri fascisti e razzisti più o meno dichiarati. Ce ne sono anche dentro i nostri territori. Magari hanno pure l’aspetto o i nomi di leggi, strutture, commissioni per l’accoglienza. Ma sono muri, che servono ad escludere le persone, a frammentare e gerarchizzare la società. Nel costruirli le istituzioni bresciane non sono seconde a nessuno. Anzi, sono all’avanguardia.
*Fonte dati: Welfare oggi 1/02/2017, periodico dell’Osservatorio Permanente sui Rifugiati Vie di fuga, Torino