L’arrivo dei richiedenti asilo alla ex caserma Serini a Montichiari non comporta alcun rischio per gli abitanti della zona.
Non causa nulla che possa giustificare la negazione del diritto basilare, che appartiene dalla nascita a qualsiasi persona,
di fuggire da guerre e povertà estrema, di ricevere accoglienza, di muoversi per cercare un’esistenza vivibile, dignitosa, migliore.
I soliti imprenditori della paura contro l’altro, quelli che sull’odio razziale costruiscono per se’ facili consensi elettorali e lucrose carriere politiche, ovviamente proclamano il contrario. Per loro nel territorio di Montichiari, devastato da discariche e produzioni inquinanti, dalla logica del profitto per pochi a costo anche della vita per tutti gli altri, il grave pericolo da eliminare sono i profughi alla ex Serini. Così come l’ingiustizia intollerabile sono i 2,5 euro al giorno dati ai profughi, non il fatto che in Italia il 10% più ricco della popolazione (industriali, manager, banchieri…) si accaparra e sottrae al reddito e ai servizi sociali per tutti/e (case, ospedali, scuola, trasporti pubblici…) oltre la metà della ricchezza enorme che tutti e tutte produciamo, immigrati regolari e irregolari compresi.
Siamo con chi a Montichiari prende parola e si posiziona dalla parte dell’accoglienza e della solidarietà, in risposta allo squallido teatrino contro i richiedenti asilo inscenato sotto i riflettori di qualche televisione compiacente dai fascisti e dai leghisti in presidio intermittente (comunque intollerabile e da rimuovere) nei pressi dell’ex caserma.
Ma c’è davvero qualcosa che preoccupa molto della struttura prefettizia alla Serini: sono le condizioni di vivibilità che i richiedenti asilo dovranno affrontare. È l’alta probabilità che la ex caserma diventi nei fatti un luogo sovraffollato di permanenza prolungata in condizione degradanti, una sorta di ghetto isolato e militarizzato dove fra l’altro valga l’imposizione di forti limitazioni alla stessa libertà di uscita per i profughi e, ancora di più, di accesso per i cittadini solidali. Ciò che sono vari “hub” (centri di smistamento) creati anche non lontano da qui, ad esempio quello di Bresso nel milanese, gestito dalla Croce Rossa coma la Serini.
A porre le premesse perché la Serini diventi un posto indegno di confinamento non sono solo le proteste xenofobe, che in effetti – oltre a legittimare i molti Comuni non solo leghisti che non vogliono attivare progetti di seconda accoglienza micro e diffusa verso i quali poter effettuare i trasferimenti – come risultato vero e tangibile stanno ottenendo dalla Prefettura (con l’assenso del Comune di Montichiari) proprio il potenziamento del controllo militare nella gestione della struttura.
Le premesse sono anche nelle caratteristiche strutturali dell’ex caserma, un edificio collocato in campagna lontano da tutto e privo di adeguati alloggi e servizi.
E sono nello stesso “sistema di accoglienza” istituzionale, nelle sue regole e nei suoi modi concreti di funzionamento: un sistema nel suo complesso di bassa qualità e tendente alla saturazione. Un sistema improntato all’emergenza, con un’ampia prevalenza di strutture “straordinarie”, buone spesso a garantire molto più che vivibilità, formazione e inserimento sociale per i richiedenti asilo, lauti introiti economici ad imprenditori privati che si improvvisano operatori. Un sistema che – per come funziona – è in parte persino inutile e nemmeno richiesto da molti dei e delle migranti.
Pesa su di esso la chiusura ai/alle migranti delle frontiere fra gli Stati UE (legittimata anzitutto dal Regolamento Dublino, che impedisce la presentazione della domanda di asilo in un Paese europeo diverso da quello d’ingresso), che ha trasformato l’Italia, come la Grecia, nel principale deposito continentale dell’umanità in arrivo, non anche in transito verso dove vorrebbe andare.
E pesano nondimeno leggi di governo delle migrazioni come la Bossi-Fini, che negano ogni possibilità di soggiorno regolare ai cosiddetti “migranti economici”, vale a dire alle persone che pur non essendo in fuga da una guerra, sono comunque arrivati per cercare più sicurezza, una vita degna lontano dalla povertà più nera, dagli effetti peggiori del neoliberismo e della crisi climatica, o da regimi autoritari come quelli turco, egiziano, sudanese (con i quali però gli Stati europei stringono accordi per il respingimento e il trattenimento forzato dei migranti fuori dal territorio UE).
Sempre che siano riuscite a scampare alle stragi in mare di donne, uomini, bambini lasciati senza altra possibilità per arrivare che affidarsi a trafficanti senza scrupolo (vista la chiusura dei canali d’ingresso legali e sicuri e la blindatura delle frontiere esterne dell’Europa), una volta in Italia anche queste persone possono solo tentare l’unica strada verso la regolarizzazione che la legge ha lasciato percorribile: presentare domanda di asilo.
Vengono anch’esse inquadrate nelle varie strutture per l’“emergenza profughi”, dove per un tempo lunghissimo, che dura anche anni, devono attendere la fatidica risposta alla domanda di asilo.
Una risposta che infine è negativa per la gran parte di queste persone, che vengono dichiarate non “veri profughi” da accogliere, ma “migranti economici” da respingere. Una prospettiva che è sostanziale certezza per oltre 2000 dei circa 2800 richiedenti asilo inseriti nell’accoglienza bresciana e sottoposti al giudizio di una delle Commissioni Territoriali più prodighe di dinieghi nel quadro nazionale.
Nel suo complesso la macchina europea, italiana e locale di governo delle migrazioni non accoglie. Serve piuttosto a catturare e confinare dentro le strutture emergenziali decine e decine di migliaia di persone, a selezionarle e respingerle.
Cosa vuole la grande maggioranza di queste persone? La semplice libertà di stare regolarmente in Europa e di scegliere in quale Paese. Alla fine invece il sistema dell’accoglienza le consegna alla marginalità sociale e alla ricattabilità lavorativa più estrema lasciandone la gran parte persino senza un titolo di soggiorno.
Siamo con i/le migranti che continuano a lottare e a cercare di attraversare anche le frontiere interne europee chiuse, come a Como, al Brennero, a Ventimiglia.
Siamo per l’accoglienza delle persone vulnerabili, o vittime o a rischio di violenza nei Paesi di provenienza, in strutture e percorsi di inserimento sociale adeguati e non emergenziali. Siamo per un’accoglienza per tutti e tutte degna e non imposta, centrata sulla libertà di ciascuno di scegliere dove andare, restare o tornare, non sul confinamento all’interno dell’istituzione totale chiamata, del tutto impropriamente, “sistema di accoglienza”.
Siamo quindi, anzitutto, per un permesso di soggiorno europeo da dare subito a tutte e tutti i migranti, senza che per ottenerlo sia necessario svolgere alcun lavoro gratuito, perché il permesso è, al contrario, condizione minima necessaria e non sufficiente per poter cercare un lavoro regolare e degnamente retribuito.
Per praticare il linguaggio universale della solidarietà le risorse economiche non mancano: sono la ricchezza comune che la grande maggioranza delle persone si vede togliere non dagli immigrati, ma dalle oligarchie economico-finanziarie al potere in Italia e in Europa, dalle loro politiche neoliberiste e di austerità, di precarizzazione del lavoro, di privatizzazione e accaparramento. Sono la ricchezza comune che dobbiamo riprenderci.
Chi è arrivato fino in Europa a rischio della vita chiede quel che anche noi esigiamo: sicurezza sociale, reddito, welfare, futuro. Anche in questi territori da anni siamo al fianco di migranti e rifugiati nelle lotte contro gli sfratti e per il diritto all’abitare, per il welfare pubblico, contro lo sfruttamento lavorativo. È proprio da lì che passa ogni possibilità concreta di riaffermazione dei diritti di tutte e tutti: dalla lotta comune dal basso.
Il razzismo e la guerra dei poveri contro i più poveri sono un’alternativa falsa, utile a dare sicurezza solo al potere e ai privilegi dei pochi che davvero ne hanno. Prima i poveri!
Leggi anche: Accoglienza o esclusione? Alcune considerazioni sul sistema di accoglienza italiano, articolo di Antonio Ciniero, tratto da Progetto Melting Pot Europa