Sicurezza e lotta al degrado secondo il governo: all’ex caserma Serini di Montichiari un campo di concentramento, detenzione e deportazione di migranti.
Si scrive Centro di Permanenza per il Rimpatrio.
Si legge lager di Stato.
Infine il Ministero degli Interni ha dato conferma a quel che da mesi le indiscrezioni giornalistiche e soprattutto il sistema di governo italiano ed europeo della cosiddetta emergenza profughi lasciavano presagire. Il decreto sull’immigrazione dei ministri piddini Minniti e Orlando – diventato legge ad aprile 2017 insieme ad un altro pessimo decreto contro i poveri proposto dagli stessi ministri su decoro urbano e ordine pubblico – si concretizza a Brescia in un atto di violenza istituzionale senza precedenti,un marchio d’infamia impresso nel tessuto sociale e civile di questi territori, dove vivono e sono al lavoro anche centinaia di migliaia di donne e uomini immigrati:all’ex caserma Serini, nella campagna alle porte di Brescia, tra i Comuni di Montichiari e Castenedolo, sta per essere collocato uno dei quattro (per ora) “Centri di Permanenza per il Rimpatrio” di prossima apertura nel nord Italia. Insomma un ex Cie, diverso solo nel nome.
Un carcere speciale etnico, un campo di detenzione amministrativa extragiudiziale nel quale le persone immigrate possono essere recluse per tre mesi e oltre senza aver commesso alcun reato, solo perché sono state dichiarate illegali dopo essere sopravvissute alle stragi nel Mediterraneo ed essere approdate al di qua della frontiera italiana ed europea, oppure dopo aver ricevuto il diniego del rinnovo del titolo di soggiorno a causa della perdita del lavoro svolto per anni in Italia.
Alla Fascia d’Oro di Montichiari, a qualche centinaio di metri da un piccolo agglomerato di case, in mezzo al nulla fra capannoni industriali, tangenziale, discariche di rifiuti, lo Stato apre una discarica di esseri umani in eccedenza, ben sigillata con muri, filo spinato e torrette.
Minniti – con un senso dell’efficienza organizzativa che nemmeno il capotreno con la doppia esse Adolf Eichmann avrebbe disprezzato – colloca questo CPR, come gli altri, a fianco di un aeroporto. Lo scalo intitolato a Gabriele d’Annunzio, in crisi da sempre, trova così una vera vocazione, fin troppo assonante con la sensibilità del vate protofascista del nazionalismo razzista e guerrafondaio: la deportazione degli esseri umani reclusi nel CPR, il “rimpatrio” forzato verso Paesi di provenienza o transito notoriamente democratici, sicuri e accoglienti come la Libia, la Turchia, l’Egitto, il Sudan, magari verso i campi di concentramento finanziati in alcuni di quei Paesi dalla generosità italiana ed europea.
I costi ingenti dei voli aerei e la carenza di accordi certi con i Paesi di destinazione limiteranno probabilmente la messa in pratica del progetto di implementazione dei trasferimenti forzati architettato dal governo in accordo con l’Unione Europea. Ma rimane il fatto che le deportazioni e ancor più la detenzione amministrativa diventano ricatti e minacce quanto mai reali per le/gli immigrati, assoggettati in Italia a dispositivi di legge gravemente restrittivi nella concessione dei titoli di soggiorno e del loro rinnovo.
Ora, con l’apertura alla Serini del centro di detenzione ed espulsione al posto del centro di accoglienza straordinaria e di smistamento dei profughi annunciato mesi fa dalla Prefettura, gli imprenditori politici della paura e della xenofobia possono dirsi soddisfatti. Che i luogotenenti leghisti e fascisti continuino a dichiararsi contrari persino al CPR in quanto struttura “per gli immigrati”, dopo averlo proposto ripetutamente negli anni scorsi, è solo conferma della loro dimestichezza con l’opportunismo e la falsificazione del loro stesso pensiero, pur di raccattare consensi elettorali e lucrose carriere politiche raschiando anche il fondo nella melma dell’odio razziale. A meno che non pensino che per far sparire le persone senza titolo di soggiorno già presenti sul territorio, in alternativa all’internamento e alla deportazione si possa ricorrere a una qualche pozione magica, ad esempio allo scioglimento nell’acido.
Ma nella vicenda Serini la miseria umana e politica del razzismo risalta da più parti. Fin dall’annuncio dell’apertura all’ex caserma del centro straordinario di accoglienza temporanea e di smistamento dei profughi, ora accantonato, nel discorso pubblico ha dominato la falsa questione della minaccia che le persone arrivate sui barconi per cercare solidarietà e vita degna costituirebbero per la sicurezza dei cittadini/e. Le condizioni dell’accoglienza e i diritti delle/dei profughi vengono trattati come temi marginali, più spesso da ignorare. Tanto che il Partito democratico bresciano e il sindaco di Montichiari Fraccaro dichiarano ora che un campo di detenzione ed espulsione è da preferire al precedente progetto prefettizio sulla Serini proprio perché tutela meglio la sicurezza dei cittadini.
Del resto, fin dall’inizio di questa vicenda si è manifestata in maniera via via più evidente persino una convergenza d’intenti molto concreta, per quanto involontaria e inconfessabile, tra le istituzioni e il men che simbolico presidio (tuttora autorizzato dalla Questura) “dei cittadini” contro l’“invasione” organizzato dai leghisti e dai fascisti davanti al cancello dell’ex caserma. Il presidio xenofobo e la Prefettura si sono trovati di fatto a concorrere e a legittimarsi reciprocamente nel determinare l’esito che si stava prospettando in modo sempre più chiaro riguardo alle condizioni d’accoglienza nel centro di smistamento annunciato: un’impostazione iperemergenziale, la creazione di una sorta di ghetto militarizzato, chiuso e assediato, regolato da fortissime limitazioni sulla libertà di uscita per gli ospiti, interdetto all’ingresso delle/dei cittadini solidali.
L’ulteriore grave e inaccettabile peggioramento per i profughi e i migranti rappresentato dal cambio di destinazione d’uso dell’ex caserma a centro di detenzione ed espulsione, esprime in modo del tutto conseguente la stessa logica che già si era manifestata nella fase precedente: contenere, catturare, confinare e reprimere la libertà di scelta e di movimento delle persone immigrate, additate come pericolo pubblico da quasi ogni parte politica istituzionale, usate per alimentare paure infondate, come capro espiatorio della condizione diffusa di insicurezza e precarietà sociale.
E contraddice una volta di più la solita narrazione accreditata dai media mainstream sulla presunta contrapposizione tra le istituzioni garanti dell’accoglienza profughi da un lato, la xenofobia e il rancore contro i più poveri fra i poveri dall’altro.
Le leggi europee e italiane ostacolano fino a negare la libertà di movimento, l’ingresso e il soggiorno regolari dei e delle migranti. Mentre le frontiere restano chiuse e il Regolamento Dublino impedisce ai richiedenti asilo la scelta del Paese europeo di destinazione, in Italia la legge Bossi-Fini, rendendo impossibile ottenere il permesso di soggiorno (oltre che facile perderlo se si è rimasti senza lavoro), lascia a profughi e migranti come unica possibilità per uscire dall’irregolarità quella di percorrere la via intasata e sempre più stretta della presentazione della domanda di asilo.
A fronte dell’alto numero delle domande di asilo (e dei rigetti da parte delle Commissioni – a Brescia oltre il 70% – per coloro che vengono catalogati sommariamente come “migranti economici”), la soluzione del governo è dare allo stesso diritto alla protezione internazionale un ulteriore energico giro di vite, provvidenzialmente accompagnato da una campagna politica e mediatica di criminalizzazione delle ong che soccorrono in mare uomini, donne, bambini. Ecco dunque la legge Minniti Orlando: centri di detenzione ed espulsione, tribunali speciali con l’eliminazione dell’udienza e del secondo grado di giudizio sui ricorsi contro i rigetti delle domande di protezione internazionale, attribuzione della funzione di pubblici ufficiali ai responsabili delle strutture di accoglienza, incentivazione della possibilità di far svolgere ai/alle richiedenti asilo lavoro gratuito “di utilità sociale”.
Attraverso la retorica dell’efficienza e del diritto alla sicurezza da non sacrificare al dovere dell’accoglienza, viene accelerato il funzionamento della macchina di governo dei flussi migratori, senza metterne in discussione ma anzi peggiorandone gli esiti, in termini di innalzamento di muri, clandestinità, segregazione ed esclusione. E finendo così con l’alimentare la compressione dei diritti, la precarietà e l’insicurezza sociale per tutte e tutti.
Eppure le enormi risorse economiche pubbliche erogate dall’Italia e dall’Europa a regimi autoritari come quello turco per confinare i/le migranti al di fuori delle frontiere UE, o al complesso militare-industriale per approntare gli apparati tecnologici e polizieschi per l’impossibile controllo delle frontiere, potrebbero essere spese in tutt’altra direzione, guardando verso l’uscita dal sistema della crisi e dell’ingiustizia sociale.
Puntando a creare e rafforzare servizi, strumenti e diritti di inclusione universali indipendenti dalla nazionalità, per il reddito, la salute, la casa, la formazione…
Mettendo in discussione la logica ferrea della creazione di centri specializzati “per immigrati” e investendo su un’accoglienza che sia davvero degna: non imposta, fatta di servizi diffusi sul territorio e di strutture qualificate, aperte, trasparenti, di piccole dimensioni. Che riconosca la libertà di muoversi e di scegliere dove andare. Non segnata dalla proliferazione di centri emergenziali, che quando non sono di reclusione extralegale di fatto come i cosiddetti “hotspot”, sono comunque a gestione opaca, adeguati a garantire il business di improvvisati operatori privati ben più che condizioni accettabili e formazione alle/ai richiedenti asilo, spesso invece assoggettati a incertezza e mancanza di informazioni sulla loro situazione, a direttive e provvedimenti arbitrari, a relazioni di potere paternalistiche e infantilizzanti che certo non si accordano con il rispetto della dignità e il supporto alla libertà di scelta delle persone.
Siamo, anzitutto, con i/le migranti che si ribellano all’accoglienza indegna riservata loro in molte strutture, o che continuano a lottare per attraversare le frontiere interne europee chiuse e per i diritti sociali.
Sosteniamo e condividiamo la Piattaforma rivendicativa “Nessuna persona è illegale”, elaborata da tante realtà associative, dei migranti, solidali, antirazziste, per e oltre la manifestazione milanese del 20 maggio chiamata “Milano senza muri”.
Il 31 maggio partecipiamo all’incontro indetto a Montichiari dal Tavolo Solidale per l’Intercultura dopo la diffusione della grave notizia riguardante l’apertura del centro di detenzione ed espulsione all’ex caserma Serini.
Una prospettiva, il carcere per profughi e immigrati irregolari in territorio bresciano, che chiama ad esprimersi ed esporsi nella maniera più aperta e incisiva tutte le realtà che hanno promosso e sostenuto la “Marcia per l’accoglienza dignitosa e la libertà di movimento” che ha attraversato le strade di Brescia il 21 gennaio scorso.
I centri di detenzione per migranti ora rilanciati dal governo erano da anni in via di dismissione, dovuta ai costi elevati e all’inutilità di queste strutture, ma soprattutto alle mobilitazione diffusa, alle manifestazioni antirazziste, alla denuncia pubblica costante e puntuale degli abusi e delle violenze compiute ordinariamente contro le persone internate, che ripetutamente hanno dato vita ad azioni di protesta e ribellione. La strada per praticare un no concreto al Centro di Permanenza per il Rimpatrio all’ex Serini è già tracciata, si tratta di cominciare a percorrerla al più presto, in tante e tanti.
Per l’accoglienza degna, la libertà di movimento, di scegliere dove andare e restare
Per la solidarietà e i diritti sociali universali
No al razzismo istituzionale e alla legge Minniti – Orlando
Nessun centro di detenzione ed espulsione, né a Montichiari né altrove