Respingere il razzismo, non le persone. No one is illegal!

sabato 28 ottobre, ore 14.30 Largo Formentone (piazza Rovetta), Brescia
partecipiamo alla Marcia per l’accoglienza,
con la manifestazione
NESSUNA PERSONA È ILLEGALE

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No centri di detenzione e deportazione di migranti: no lager, no CPR, né qui, né in Africa, né altrove.
No leggi Minniti-Orlando e Bossi-Fini. Basta razzismo istituzionale.
Per la libertà di muoversi e di restare.

Permessi di soggiorno, validi in Europa e non subordinati a contratto di lavoro e legame familiare.
Residenza, casa, reddito, tutele lavorative, welfare, diritti di cittadinanza per tutti e tutte.
No alla guerra contro i poveri!

Le migrazioni sono un dato di realtà. A generarle il desiderio e il bisogno di una vita degna, via da guerre e terrorismo, dittature, povertà, crisi climatica, saccheggio di risorse. Da ingiustizie causate anche dagli interessi predatori dell’Europa. Le persone non smettono di praticare la libertà di muoversi. Attraversano le frontiere, cercano nuove vie, utilizzano la domanda di asilo per tentare di superare i divieti posti da leggi come la Bossi-Fini. La chiusura – la moltiplicazione di check point esterni ed interni – non le ferma. Provoca invece violenze contro chi resta bloccato oltre confine. Rende mortali le rotte di viaggio. Mentre cerca di regolare gli arrivi, produce in Europa gerarchie, discriminazioni, sfruttamento, a misura di un sistema economico che pretende forza lavoro ricattabile.

In Italia le maggiori forze politiche istituzionali rincorrono la paura dell’“invasione”. Trasformano le migrazioni in ossessione securitaria e oltrepassano il confine verso il non riconoscimento delle persone come esseri umani. Pur di contenere gli arrivi, UE e governo italiano criminalizzano e impediscono i salvataggi in mare operati dalle ONG, mentre finanziano le milizie dei trafficanti riconvertite al confinamento nei lager libici, nigerini, ciadiani dell’umanità in transito.

Pericolosa è una società che assoggetta le persone alla minaccia di finire in galera per quello che sono, solo perché migranti. È quello che fanno le recenti leggi Minniti-Orlando: istituiscono nella Penisola 18 Centri di Permanenza per il Rimpatrio, i vecchi CIE con un nome nuovo. Un CPR è previsto anche a Montichiari: a pochi chilometri da Brescia un centro di detenzione e deportazione di migranti che non hanno commesso alcun reato, ma che sono senza permesso. Ad oggi in Italia almeno mezzo milione di persone, rese “irregolari” da leggi come la Bossi-Fini, che leva il titolo di soggiorno a chi perde il lavoro, o la stessa Minniti-Orlando, che comprimendo il diritto d’asilo colpisce l’unica e già labile possibilità di ottenere il permesso rimasta a chi è riuscito ad arrivare fin qui senza poter poi proseguire il viaggio verso altri paesi europei a causa del Regolamento Dublino.
Una sola può essere la garanzia vera che il CPR a Montichiari non apra: una risposta sociale di rifiuto diffusa, delle realtà solidali, antirazziste, dei/delle migranti di questi territori.

I CPR sono parte integrante della cosiddetta accoglienza istituzionale, di un sistema emergenziale deputato anzitutto a selezionare i “veri profughi” condannando alla clandestinità decine di migliaia di “migranti economici”. Un sistema in gran parte appaltato a imprenditori privati la cui mission è il business. Gli ospiti conoscono bene le sue regole prevalenti: attesa e insicurezza, subordinazione e paternalismo, lavoro gratuito o malpagato in cambio di un’incerta possibilità di ottenere il permesso. Un sistema in contraddizione con la motivazione e l’impegno messi da molti dei 40mila operatori, spesso precari, nell’accompagnare i/le richiedenti asilo ad un’inclusione troppe volte negata.
La maggioranza di coloro che escono dall’accoglienza non può neanche sperare nel supporto per casa, formazione, assistenza sanitaria che il recente “Piano per l’integrazione” del governo promette, ma solo ad alcune categorie di regolarizzati e compatibilmente con la carenza di risorse prosciugate dalle politiche di taglio lineare ai diritti sociali di tutti/e.

Intanto la retorica della sicurezza giocata dal governo e dai media mainstream contro lo straniero, delegittima la stessa legge sulla cittadinanza, apre spazi alle aggressioni fasciste e a narrazioni razziste che strumentalizzano il corpo delle donne giudicando più gravi gli innumerevoli stupri e femminicidi quando commessi da immigrati. Come se la violenza non fosse praticata da uomini di ogni nazionalità. Come se ad esserne colpevole non fosse anche lo Stato italiano, che consegna le donne a violenze sistematiche nei campi istituiti in Libia per rallentare gli sbarchi.

I bersagli dei dispositivi di esclusione e ricatto non sono i soli migranti. Sono anche le condizioni di vita e lavoro di tutte/i, le libertà e i diritti fondamentali, la solidarietà.
In nome della sicurezza, con i cosiddetti daspo le leggi Minniti-Orlando danno a sindaci, prefetti e questori il potere arbitrario di vietare determinate zone della città a persone da loro ritenute indecorose o moleste, agli indigenti o a chi lotta per i diritti. Operazioni sempre più frequenti “di bonifica” dall’umanità eccedente sono gli sgomberi di case occupate dai senzatetto e i rastrellamenti in aree urbane centrali.

Nel frattempo le oligarchie politiche e imprenditoriali al potere dicono che la tempesta economica è finita, ma che le loro ricette per la crisi vanno bene anche per la “crescita”: altri sacrifici, precarietà, privatizzazioni, tagli al welfare, esclusione. Il Pil sale, forse, il reddito della maggioranza no. Continua ad essere tolta al diritto universale di vivere bene e a finire ai piani alti della scala sociale la ricchezza che ci appartiene, che produciamo tutte/i, italiani e migranti, regolari e irregolari.

Il razzismo nasconde la vera guerra in corso, quella contro i poveri. Ma c’è una parte ampia di questa città fatta di singoli e realtà organizzate che non crede all’invenzione del capro espiatorio. Una città meticcia, che vuole apertura e diritti. E che da anni è resa più viva e reale dalle lotte dei/delle migranti per permessi e dignità, per la casa e per migliori condizioni di lavoro, come nella logistica.
Il contrario di guerra non è pace. È conflitto sociale dal basso. È protagonismo dei precarizzati e sfruttati di ogni provenienza: per il diritto di avere diritti, senza muri e leggi a separare, ghettizzare, togliere libertà.
Respingiamo la paura, prima i poveri!