Lunedì 18 giugno 2012 alle ore 12 ci sarà un’altra udienza del processo contro gli attivisti fermati durante lo sgombero del presidio della gru, l’8 novembre 2010.
Un processo che sta andando avanti senza la possibilità da parte degli avvocati della difesa di portare testimonianze a favore degli imputati. Un processo che, a causa della legge Bossi-Fini, se si concludesse con condanne per il reato di “resistenza aggravata”, potrebbe determinare per gli imputati immigrati la preclusione di qualsiasi possibilità di regolarizzazione.
invitiamo tutte/tutti ad essere presenti fuori dal tribunale
perché lottare per i diritti non è un reato
perché è l’aver scelto di lottare per i diritti il vero motivo di questo processo
no alle espulsioni, no alla Bossi-Fini
Lunedì 18 giugno si tiene un’altra udienza del processo contro Farag e Sheriff, due dei tanti migranti che insieme a centinaia di italiani nel novembre 2010 parteciparono al presidio permanente di supporto ai sette che il 30 ottobre erano saliti sulla gru di via San Faustino per rendere visibile la richiesta di regolarizzazione.
Farag e Sheriff furono fermati dalla polizia, insieme a parecchie altre persone, nel corso del tentativo di sgombero forzato del presidio avvenuto all’alba dell’8 novembre 2010, per iniziativa dell’allora ministro degli interni Maroni, della prefetta e del questore di Brescia, nonché dei loro valenti esecutori sul campo. Tra di essi si distinse ancora una volta il vicequestore vicario Emanuele Ricifari, per le cariche insensate e i fermi arbitrari fatti eseguire dai suoi uomini contro le centinaia di persone che quella mattina semplicemente decisero di restare in strada e non abbandonare i ragazzi sulla gru, nonostante le minacce e le aggressioni della polizia.
La giornata era iniziata verso le 6 con l’improvvisa e violenta irruzione delle forze dell’ordine con caschi e manganelli all’interno dell’edificio di via della Rocca dove stavano dormendo, in accordo con i responsabili dell’oratorio di San Faustino, varie decine di immigrati che durante il giorno partecipavano al presidio sotto la gru. E’ proprio in quei frangenti che Sheriff e Farag vennero malmenati, fermati e poi accusati dalla polizia di resistenza aggravata.
Mesi fa, la precedente udienza del processo che riprende il 18 giugno si era subito conclusa con un rinvio determinato dall’assenza forzata di alcuni testimoni immigrati chiamati dalla difesa. Si tratta delle sole persone del presidio presenti al momento dello sgombero del dormitorio in via della Rocca e del fermo di Sheriff e Farag. Subito dopo lo sgombero, anch’esse fermate dalla polizia, vennero espulse dall’Italia senza alcuna imputazione di reato, se non quella di non avere il permesso di soggiorno. Questi importanti testimoni a tutt’oggi non sono ancora potuti rientrare in Italia per portare il loro contributo al dibattimento.
Infatti, nonostante il giudice abbia acconsentito ad ammetterli nel processo, non viene loro rilasciato un visto d’ingresso per motivi di giustizia, a causa della contrarietà espressa dalla questura sulla base di complesse e opinabili motivazioni legali.
Ma il loro rientro in Italia è stato finora impedito soprattutto dalla prefettura di Brescia, che muovendosi con una lentezza burocratica talmente prolungata da risultare voluta, non ha ancora provveduto a riaprire le pratiche amministrative di richiesta del permesso di soggiorno presentate da queste persone con la sanatoria del 2009. In effetti, i testimoni espulsi subito dopo lo sgombero di polizia dell’8 novembre 2010 – come altri immigrati espulsi in quelle stesse circostanze – hanno da tempo acquisito per legge il diritto al rientro e alla regolarizzazione in Italia, dato che ormai da oltre un anno è decaduto il cosiddetto reato di immigrazione clandestina come condizione ostativa all’ottenimento del permesso di soggiorno.
Ricapitolando: la prefettura non riapre le pratiche di regolarizzazione dei testimoni espulsi che pure hanno ormai da tempo il diritto al permesso di soggiorno. Dunque la questura non concede i nulla osta per il loro reingresso in Italia. La questura, inoltre, non vuole concedere loro un nulla osta nemmeno per ragioni di giustizia, perché afferma non sussistano sufficienti motivazioni legali.
Il risultato concreto è presto detto: i testimoni della difesa di Farag e Sheriff sono ancora all’estero e il processo in corso è monco di un apporto molto significativo, cioè delle sole versioni dei fatti contestati agli imputati che possano contrastare con quelle date dagli agenti di polizia operativi durante lo sgombero dell’8 novembre 2010.
Nell’udienza di lunedì 18 giugno il giudice deciderà se da questa palese lesione ai diritti della difesa discenda la necessità di un ulteriore rinvio del processo, oppure se il processo possa continuare anche con tale menomazione.
Nel caso il processo prosegua, è prevedibile che la sentenza sia prossima e che sarà sfavorevole agli imputati, i quali rischiano una condanna per resistenza aggravata. Una condanna che, grazie alla legge Bossi-Fini, sarebbe un ostacolo enorme per successive richieste di regolarizzazione da parte di Farag e Sheriff.
Al di là dello svolgersi contorto di questa vicenda, è fin troppo evidente perché Farag e Sheriff sono sotto processo e rischiano la condanna. Non perché siano dei pericolosi violenti, ma piuttosto perché hanno osato squarciare il velo del silenzio e di una pacificazione finta scegliendo, insieme a molte centinaia di migranti, di lottare per uscire dalla clandestinità e conquistare il diritto alla regolarizzazione.
La lotta ha avuto risultati importanti, visto il numero notevole di persone che grazie ad essa hanno ottenuto il permesso di soggiorno, l’obbiettivo che all’inizio sembrava un miraggio. E’ proprio questo che ancora oggi dà più fastidio alla questura e alla prefettura di Brescia: non essere riusciti ad impedire quella lotta clamorosa, che ha letteralmente messo in scacco la prefetta, il questore e i loro apparati e che alla fine ha addirittura ottenuto risultati importanti, benché ancora insufficienti. E ora qualcuno deve pagarla, qualcuno come Sheriff e Farag.
Allo stesso modo, anche agli espulsi della lotta della gru viene tuttora impedito di rientrare in Italia perché non si vuole che testimonino a favore dei loro compagni imputati di “resistenza aggravata”, ma anche perché hanno il torto di avere osato alzare la testa e interrompere un’insostenibile normalità per mettere in atto una forte lotta collettiva contro la truffa di Stato della sanatoria del 2009, per i diritti: una colpa grave, soprattutto se a macchiarsene sono degli immigrati.
Quella che la questura e la prefettura di Brescia stanno attuando somiglia molto ad un meschina rivalsa, compiuta anche attraverso manfrine giocate sul filo dell’abuso di potere.
Vengono prese di mira alcune persone nel miserabile tentativo di pareggiare il conto di una vicenda che ha visto, in particolare nei giorni dell’occupazione della gru di via San Faustino, la solidarietà e la domanda sociale di diritti imporsi all’attenzione di tutti, mettendo letteralmente alla berlina la protervia di chi voleva soffocare nella paura e nel silenzio le rivendicazioni dei migranti.
Una voglia di rivalsa che viene concepita anche come necessità, di fronte ad una lotta che è anche stata vincente e che tuttora dà forza a chi è determinato a proseguire fino alla piena estensione dell’ottenimento dei permessi di soggiorno.
Sta qui la sostanza della vicenda processuale che vede imputati Sheriff e Farag e assenti i loro testimoni. Una vicenda in realtà per nulla eccezionale, ne’ rara, dal momento che sono proprio le leggi vigenti sull’immigrazione a renderla possibile. Leggi come la Bossi-Fini, fatte apposta per porre i migranti di fronte al ricatto costante della clandestinità e dell’espulsione, in una condizione di esclusione da molte fondamentali tutele sociali e giuridiche, nella quale abusi e arbitrii possono sempre diventare norma.